Il libro
Chi lo incontri per strada, accucciato su un gradino o zigzagando con un ombrello in pugno, sempre fra gli assi geografici di Piazza Campetto, Ponte Monumentale, Galleria Mazzini e la stazione di Principe, può essere colto da una lieve seppur permanente irritazione, casuale e passeggera. Anche se subitanea rimonta l’indifferenza, e nessuno si ferma ad ascoltare lo sproloquio. L’uomo che parla gracchiando da solo e quindi, per definizione ontologica, a nessuno, a Genova lo conoscono tutti. Maini parla come Tom Waits canta: con voce da orco.
L’autore
Roberto Maini (Genova, 1942) è, alla fine degli anni sessanta, uno degli artisti più promettenti della nuova generazione. Esordisce nel 1967 in una collettiva intitolata “Situazione 67” allestita negli spazi della galleria La Bertesca, allora uno dei punti di riferimento per l’arte contemporanea e di cui il pittore genovese è una delle prime scoperte, insieme a Claudio Costa, con cui condivide la sua prima “personale” nel luglio 1969. In questo stesso anno è presente in una collettiva a Torino nella galleria di Gian Enzo Sperone, e nel 1970 è invitato alla manifestazione internazionale sulla giovane arte italiana d’avanguardia organizzata a Lucerna da Jean-Cristophe Amman, il celebre curatore svizzero, che raduna tutti i protagonisti della allora emergente scena dell’Arte Povera e alla quale partecipano Anselmo, Boetti, Calzolari, Fabro, Griffa, Kounellis, Mattiacci, Merz, Paolini, Penone, Pistoletto, Prini, Salvo, Zorio. Dopo tale evento Maini si apparta dal circuito artistico, pur non smettendo di dipingere. La sua ultima personale risale al 1987, presso La Galleria Chisel di Genova a cura di Enzo Cirone.
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